" O MARIA CONCEPITA SENZA PECCATO, PREGA PER NOI CHE RICORRIAMO A TE! "

" O MARIA CONCEPITA SENZA PECCATO, PREGA PER NOI CHE RICORRIAMO A TE! "
"Piena di grazia Ti chiamo perchè la grazia Ti riempie; e se potessi, molta più grazia Ti darei. Il Signore è con Te, anche più di quanto Tu sia con Dio; la Tua Carne non è più Carne Tua, il Tuo Sangue è per due. E benedetta sarai tra tutte le donne, perchè, se sei Madre di tutti, chi potrebbe non amarTi?"

2 marzo 2013

IL RISCHIO CHE LA CHIESA SIA OMOLOGATA AD UNA ISTITUZIONE LAICA



di Massimo Franco - Corriere della Sera - 1 marzo 2013

«Alcuni cardinali chiederanno al nuovo Papa di inserire nel suo discorso inaugurale un punto fermo: che un Pontefice di solito sceglie di esserlo per sempre. La norma sulle dimissioni non si può abolire. Ma per il futuro bisogna garantire la libertà della Chiesa da condizionamenti esterni...».
Nel giorno in cui Benedetto XVI vola in elicottero dalla Città del Vaticano al Palazzo pontificio di Castel Gandolfo, scomparendo come personaggio pubblico e primo Papa dimissionario, affiorano le voci anonime ma autorevoli di chi vuole mettere fra parentesi il precedente. È il tentativo di restituire sacralità ad un profilo che il gesto epocale, insieme eroico e destabilizzante, di Joseph Ratzinger ha mutato in modo apparentemente definitivo; e che sta provocando contraccolpi dei quali si comincia appena a indovinare la portata.
Ufficialmente, gli episcopati hanno reagito all'annuncio del passo indietro, dato da Benedetto XVI l'11 febbraio scorso, con parole di condivisione e di vicinanza al pontefice. Eppure, quel giorno arrivò un commento duro, drammatico del cardinale polacco Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, a lungo segretario di Giovanni Paolo II. «Dalla croce non si scende», disse ricordando come Karol Wojtyla rimase al suo posto, nonostante una lunga agonia, spettacolarizzata dai mass media.
Le sue parole furono lette come una critica alla decisione di Papa Ratzinger, il quale sembrò rispondergli il 27 febbraio. «Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo...», disse nell'ultima udienza a piazza San Pietro. È stato uno scambio a distanza difficile da decifrare, del quale il portale polacco Geopolityka azzarda una spiegazione. Il 25 febbraio scorso Gracjan Cimek ha scritto infatti che«Benedetto XVI era dell'opinione che il suo predecessore malato dovesse rimanere al suo posto fino alla morte».
Riaffiorano così le voci secondo le quali l'allora cardinale Ratzinger lasciò capire a Giovanni Paolo II che «dalla croce non si scende». Si tratta di una tesi destinata a provocare una discussione profonda e dolorosa: nel Conclave e negli incontri che lo precederanno, ai quali saranno presenti anche i cardinali ultraottantenni e dunque non elettori.
È la conferma che la rinuncia di Benedetto XVI non potrà essere banalizzata o archiviata, magari richiamandosi alla legittimità secondo le norme del diritto canonico. L'esigenza di ritrovare un equilibrio fra un atto epocale di rottura e la continuità della Chiesa è sentita in modo acuto. Ma per soddisfarla si intravede una ricerca tormentata, perché il Pontefice ha messo tutti di fronte a responsabilità ineludibili.L'eventualità che il papato sia omologato ad una qualunque istituzione laica in nome della modernità è un rischio che molti cardinali avvertono e vogliono sventare.
Eppure, si è già manifestato il 16 febbraio sotto le vesti innocue di un sondaggio. Quel giorno The Globalist , il sito di Washington che tenta di decifrare l'evoluzione delle classi dirigenti a livello mondiale, ha proposto ai propri lettori un quiz intrigante. Titolo: «Continuità al vertice». Svolgimento:«Per qualsiasi grande istituzione, sia una società privata, un governo o perfino una religione universale, la stabilità e la continuità sono importanti prerequisiti per avere successo. E un elemento-chiave è che il turn over al vertice sia basso. Domanda: dal 1892, quale delle seguenti istituzioni ha cambiato con meno frequenza la leadership»?
L'elenco stilato dal Globalist ha messo al punto "a" la Chiesa cattolica, al "b" la Ibm, il colosso tecnologico americano, poi la presidenza degli Stati uniti, la General Electric e i primi ministri britannici. Ma la sorpresa non è che chi ha risposto "a" si è sbagliato, perché l'azienda con i capi più longevi si è rivelata la Ibm: nove amministratori delegati in centouno anni di storia.
Non impressiona nemmeno che il papato si sia classificato terzo, con dieci pontefici: il problema è l'assimilazione di Benedetto XVI ad un qualunque top manager o leader politico. La strana classifica può anche apparire un po’ grossolana e «all'americana». Però, non va sottovalutata nel suo sottinteso simbolico.
Nella percezione di una parte dell'opinione pubblica globale, il Vaticano comincia ad apparire un sistema di governo come gli altri; è dunque il Papa, capo della Chiesa cattolica, a uscire dalla nicchia teocratica nella quale lo poneva la sua carica a vita, inserendolo nella lista di presidenti, primi ministri e dirigenti.
È questo che colpisce di più. Rispecchia il dramma di un'istituzione che dovrà ricalibrare molti dei suoi principi sulla base di una novità prevista ma mai verificatasi negli ultimi seicento anni.
Congedandosi ieri pomeriggio, mentre il suo appartamento veniva chiuso e sigillato, Benedetto XVI ha scolpito solennemente l'impegno a un'«ubbidienza incondizionata» al successore. Ma rimane la figura ascetica, invisibile e tuttavia ingombrante del «Papa emerito»: dove quell'aggettivo rischia di rimandare di nuovo a cariche onorifiche tipiche dell'universo non religioso.
I veleni che cominciano a filtrare sull'uno o l'altro «papabile» danno corpo al fantasma di un condizionamento esterno quasi preventivo: si tratti di pedofilia, di inchieste giudiziarie di altro tipo o di pressioni dei governi. La presa di posizione dei giorni scorsi del «primo ministro» del Vaticano Tarcisio Bertone contro ingerenze indebite dell'opinione pubblica o di Stati sul Conclave, è sembrata un altolà a tutti. È vero che spesso si tratta di voci, non sempre verificabili. Ma evocano uno sfondo di conflittualità latenti che attraversano molti episcopati.
Compreso quello italiano, nel quale sta crescendo l'aspettativa, non si sa quanto fondata, di un ritorno ad un pontefice «tricolore» dopo quello polacco e il tedesco. Anche se in realtà ambizioni e contrasti attraversano l'intero corpo elettorale. La vigilia del Conclave sembra incrinare perfino la compattezza dei cardinali statunitensi guidati dal presidente e arcivescovo di New York, Timothy Dolan.
Per quanto considerata un'ipotesi remota, la candidatura di un americano al papato non è più esclusa a priori. Ma si parla di opinioni non coincidenti in quella pattuglia: le prime perplessità sarebbero partite dal cardinale di Washington, Donald Wuerl.
Piccola coincidenza: in questi giorni è a Roma in missione ufficiale John Kerry, segretario di Stato Usa, cattolico e candidato perdente contro il repubblicano protestante George W. Bush nel 2004. Alla Casa Bianca ricordano ancora come un incubo l'ostilità aperta di alcuni vescovi conservatori statunitensi nei confronti di un Kerry tacciato di progressismo. La sua presenza a Roma lo candida, come minimo, al ruolo di spettatore interessato del Conclave.

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