FELICITA' E'... NON CREARE DOLORE ALL'ALTRO!
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Una fede immacolata, tutta di un pezzo, senza rughe e senza incrinature; una fede che non si screpola, una fede illesa, indenne alle intemperie del mondo; una fede che, non dico abbia la forza di sopportare la croce, ma almeno di lasciarsi ferire; una fede del genere non è una fede solida.
“Nessuna fede è solida come una fede ferita”, e una fede ferita procura la FELICITA'.
Infelice è chi ha ferite e non ha fede, altrettanto infelice è chi ha fede ma non ha ferite; FELICE invece è l’uomo che ha una fede ferita!
“FELICE colui che si dà pensiero del povero”, queste sono le prime parole del Salmo 41.
Ecco l’origine di una fede ferita: nel darsi pensiero del povero, nel fare attenzione, nel preoccuparsi, nel guardare attentamente al debole, al misero; lasciare che questo sguardo profondo incida la propria fede, ferendola della sofferenza dell’altro.
Una fede che si lascia ferire dalla miseria genera felicità, non solo per sé, ma anche per l’altro.
Chi ferisce l'altro, non ha fede, ha nel cuore solo aridità.
Preoccuparsi del debole, rende felice il misero e rende felice me, perché è una fede che ha il potere di cambiare le cose; incisa dal dolore, la fede, incide nella storia; ferita, impara a guarire!
“Questa tessitura della felicità individuale con la felicità collettiva, rende liberi.
Non vi può essere alcuna felicità soltanto per sé e spesso a scapito degli altri.
Questo è il difetto di fondo del capitalismo aggressivo che si è manifestato in questi ultimi decenni: saprà anche garantire la felicità individuale, ma produce troppa infelicità collettiva: il prezzo dell’inquinamento della natura e il prezzo del maggiore impoverimento dei paesi più poveri è un prezzo troppo alto da pagare!
L’intreccio tra felicità individuale e felicità collettiva è possibile se l’essere umano, se ciascun uomo e ciascuna donna riscoprano Dio.
Diceva Dostoevskj: “Se Dio non esiste, è possibile tutto!”.
“Nessun cuore è intero come un cuore spezzato”, dice un detto ebraico.
Il cuore è come la fede, bisogna spezzarlo, ferirlo attraverso la preoccupazione della sofferenza dell’altro.
Un cuore spezzato è un cuore veramente intero, perché contiene non solo la propria felicità, ma anche quella dell’altro.
Colui che si dà pensiero del povero è felice perché nel giorno della sventura Dio gli procurerà una via di scampo; ecco la prima azione di Dio: la via di fuga.
Dio, nel giorno della sventura, saprà indicarti la via d’uscita. E oggi sappiamo che questa via d’uscita si chiama: la Croce di Gesù Cristo.
Colui che si dà pensiero per il povero è felice perché Dio lo sosterrà sul letto del dolore.
Dio non ci toglie il dolore, ma ci sostiene nel momento del dolore.
Ho visto tanti malati vivere con grande coraggio e con grande dignità la loro malattia.
Cristo sulla Croce ha chiesto sostegno al Padre e il sostegno non è arrivato.
Da Cristo in poi nessuno più sarà abbandonato nel Suo dolore, perché Cristo è l’Abbandonato al posto di tutti noi.
Il modo in cui Dio ci guarisce è ribaltando il giaciglio della malattia. Ma lo stesso verbo può anche tradursi diversamente: Dio rifà il letto di malattia, cioè Dio come un infermiere che si prende cura di noi, per fare in modo che il nostro letto sia sempre fresco e pulito.
In Cristo, Dio non è soltanto il cameriere che ci porta il cibo della vita (Luca 12:37), ma anche l’infermiere che cura la nostra malattia mortale.
Questa è la FELICITA' per chi si dà pensiero del povero.
Una FELICITA' completamente nelle mani di Dio, una FELICITA' certa, non insicura e traballante come le INFELICI FELICITA' che possono prometterci gli altri.
Una FELICITA' incrollabile che ci dà la forza di affrontare la vita e viverla fino in fondo.
Soltanto Dio in Cristo è Colui che ci accudisce.
Nessun altro può accudirci come Dio. Solo Dio può liberare la nostra anima, restituirci la nostra serenità ,donarci la felicità incrollabile.
Noi, resi felici, continueremo a rendere sempre più vulnerabile la nostra fede per il debole, per il misero, per il povero(per la madre,il marito, la moglie, i figli,il vicino).
Lasceremo che la nostra fede sia ferita dalle ferite del mondo, così che essa diventerà sempre più solida, come un diamante prezioso che rende felice chi l’ha trovato. Amen.
“Nessuna fede è solida come una fede ferita”, e una fede ferita procura la FELICITA'.
Infelice è chi ha ferite e non ha fede, altrettanto infelice è chi ha fede ma non ha ferite; FELICE invece è l’uomo che ha una fede ferita!
“FELICE colui che si dà pensiero del povero”, queste sono le prime parole del Salmo 41.
Ecco l’origine di una fede ferita: nel darsi pensiero del povero, nel fare attenzione, nel preoccuparsi, nel guardare attentamente al debole, al misero; lasciare che questo sguardo profondo incida la propria fede, ferendola della sofferenza dell’altro.
Una fede che si lascia ferire dalla miseria genera felicità, non solo per sé, ma anche per l’altro.
Chi ferisce l'altro, non ha fede, ha nel cuore solo aridità.
Preoccuparsi del debole, rende felice il misero e rende felice me, perché è una fede che ha il potere di cambiare le cose; incisa dal dolore, la fede, incide nella storia; ferita, impara a guarire!
“Questa tessitura della felicità individuale con la felicità collettiva, rende liberi.
Non vi può essere alcuna felicità soltanto per sé e spesso a scapito degli altri.
Questo è il difetto di fondo del capitalismo aggressivo che si è manifestato in questi ultimi decenni: saprà anche garantire la felicità individuale, ma produce troppa infelicità collettiva: il prezzo dell’inquinamento della natura e il prezzo del maggiore impoverimento dei paesi più poveri è un prezzo troppo alto da pagare!
L’intreccio tra felicità individuale e felicità collettiva è possibile se l’essere umano, se ciascun uomo e ciascuna donna riscoprano Dio.
Diceva Dostoevskj: “Se Dio non esiste, è possibile tutto!”.
“Nessun cuore è intero come un cuore spezzato”, dice un detto ebraico.
Il cuore è come la fede, bisogna spezzarlo, ferirlo attraverso la preoccupazione della sofferenza dell’altro.
Un cuore spezzato è un cuore veramente intero, perché contiene non solo la propria felicità, ma anche quella dell’altro.
Colui che si dà pensiero del povero è felice perché nel giorno della sventura Dio gli procurerà una via di scampo; ecco la prima azione di Dio: la via di fuga.
Dio, nel giorno della sventura, saprà indicarti la via d’uscita. E oggi sappiamo che questa via d’uscita si chiama: la Croce di Gesù Cristo.
Colui che si dà pensiero per il povero è felice perché Dio lo sosterrà sul letto del dolore.
Dio non ci toglie il dolore, ma ci sostiene nel momento del dolore.
Ho visto tanti malati vivere con grande coraggio e con grande dignità la loro malattia.
Cristo sulla Croce ha chiesto sostegno al Padre e il sostegno non è arrivato.
Da Cristo in poi nessuno più sarà abbandonato nel Suo dolore, perché Cristo è l’Abbandonato al posto di tutti noi.
Il modo in cui Dio ci guarisce è ribaltando il giaciglio della malattia. Ma lo stesso verbo può anche tradursi diversamente: Dio rifà il letto di malattia, cioè Dio come un infermiere che si prende cura di noi, per fare in modo che il nostro letto sia sempre fresco e pulito.
In Cristo, Dio non è soltanto il cameriere che ci porta il cibo della vita (Luca 12:37), ma anche l’infermiere che cura la nostra malattia mortale.
Questa è la FELICITA' per chi si dà pensiero del povero.
Una FELICITA' completamente nelle mani di Dio, una FELICITA' certa, non insicura e traballante come le INFELICI FELICITA' che possono prometterci gli altri.
Una FELICITA' incrollabile che ci dà la forza di affrontare la vita e viverla fino in fondo.
Soltanto Dio in Cristo è Colui che ci accudisce.
Nessun altro può accudirci come Dio. Solo Dio può liberare la nostra anima, restituirci la nostra serenità ,donarci la felicità incrollabile.
Noi, resi felici, continueremo a rendere sempre più vulnerabile la nostra fede per il debole, per il misero, per il povero(per la madre,il marito, la moglie, i figli,il vicino).
Lasceremo che la nostra fede sia ferita dalle ferite del mondo, così che essa diventerà sempre più solida, come un diamante prezioso che rende felice chi l’ha trovato. Amen.
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