Non può passare sotto silenzio la sentenza della magistratura che ha, di fatto, annullato la legge 40 sulla tutela della vita. Alcuni giudici sembrano proprio voler ribaltare le leggi sulla cui applicazione dovrebbero invece vigilare; se non serve neanche approvare una legge e sostenerla in un referendum, cosa ci resta per difendere la vita?
E adesso chi fermerà le tentazioni di scartare figli?
Assuntina Morresi - Avvenire
Il desiderio di dare un fratello a un figlio già nato, da una parte; la probabilità altissima che il bambino nasca destinato in breve a morire, dall’altra. E intanto un altro figlio morto pochi mesi dopo la nascita, e alcuni aborti volontari perché i nascituri avevano già la stessa, terribile malattia: l’atrofia muscolare spinale di tipo 1. Una storia di lutti e dolore, di fronte alla quale un giudice di Salerno ha deciso di applicare una legge che non c’è per sostenere la coppia nel desiderio di avere un secondo figlio che non avesse ereditato la stessa patologia.
Una legge che non c’è, dicevamo: perché per poter accedere alle tecniche di fecondazione assistita e selezionare l’embrione sano fra quelli malati, come consentito dal tribunale, secondo la legge italiana la coppia avrebbe dovuto essere sterile o infertile (a differenza di quella in questione) e la diagnosi preimpianto non sarebbe stata da vietare, come invece è adesso.
Una sentenza ipercreativa, insomma, che ha modificato impunemente in un sol colpo il risultato di un voto parlamentare raggiunto dopo anni di lavoro e quello di un referendum: tale è la potenza dei giudici, a quanto pare, e ci chiediamo che senso abbia il lavoro paziente nelle aule di Camera e Senato quando la solerzia e la fantasia di un magistrato riescono così velocemente a sostituirsi al potere legislativo e pure alla Corte Costituzionale che, eventualmente, sarebbe stata l’unica legittimata a pronunciarsi.
La legge 40, che la sentenza di Salerno ha violato, non consente la scelta dell’embrione su base genetica, perché ogni selezione di questo tipo è eugenetica, indipendentemente dalle motivazioni che possono essere addotte. Una volta ammessa infatti la possibilità di produrre un certo numero di embrioni per selezionarne alcuni e scartarne altri, come avviene con la diagnosi preimpianto, chi decide quali sono le malattie gravissime che legittimerebbero la scelta e quelle che invece sono considerate accettabili? Fra le decine di embrioni che si dovranno generare per essere sicuri di ottenerne qualcuno sano non si cercheranno anche altre patologie, oltre a quelle mortali? In altre parole: chi cerca il figlio sano, e vuole escludere terribili malattie come l’atrofia muscolare o la fibrosi cistica, accetterà il rischio di avere embrioni affetti da sindrome di Down o con certi tipi di patologie cardiache, ad esempio, o vorrà invece cercare pure quelli per scartarli, visto che c’è la possibilità? Chi decide l’elenco delle malattie da individuare? Chi fisserà il limite? E di quale tipo sarà?
In Gran Bretagna alcune associazioni di persone affette da sordità hanno condotto una lunga battaglia per poter impiantare anche embrioni con lo stesso handicap: «Quali embrioni debbano essere scelti per l’impianto deve rimanere una decisione degli individui e dei loro medici» hanno rivendicato, ritenendo che la condizione di sordità (che conoscono bene per esperienza diretta) sia semplicemente quella di una minoranza che vive in modo diverso dagli altri, e che va dunque difesa dalle discriminazioni.
Quando il desiderio – legittimo e comprensibilissimo – di avere un figlio diventa un diritto esigibile l’inevitabile passo successivo è un ulteriore diritto: quello ad avere un figlio sano (o con caratteristiche precise) e quindi di poterselo scegliere, con criteri sempre più discrezionali. Un figlio subordinato a una selezione genetica, un figlio 'a condizione': una contraddizione in termini, che dovrebbe far ripensare al significato, alla responsabilità e al valore di mettere al mondo un bambino. Se possibile, non a ogni costo.
E adesso chi fermerà le tentazioni di scartare figli?
Assuntina Morresi - Avvenire
Il desiderio di dare un fratello a un figlio già nato, da una parte; la probabilità altissima che il bambino nasca destinato in breve a morire, dall’altra. E intanto un altro figlio morto pochi mesi dopo la nascita, e alcuni aborti volontari perché i nascituri avevano già la stessa, terribile malattia: l’atrofia muscolare spinale di tipo 1. Una storia di lutti e dolore, di fronte alla quale un giudice di Salerno ha deciso di applicare una legge che non c’è per sostenere la coppia nel desiderio di avere un secondo figlio che non avesse ereditato la stessa patologia.
Una legge che non c’è, dicevamo: perché per poter accedere alle tecniche di fecondazione assistita e selezionare l’embrione sano fra quelli malati, come consentito dal tribunale, secondo la legge italiana la coppia avrebbe dovuto essere sterile o infertile (a differenza di quella in questione) e la diagnosi preimpianto non sarebbe stata da vietare, come invece è adesso.
Una sentenza ipercreativa, insomma, che ha modificato impunemente in un sol colpo il risultato di un voto parlamentare raggiunto dopo anni di lavoro e quello di un referendum: tale è la potenza dei giudici, a quanto pare, e ci chiediamo che senso abbia il lavoro paziente nelle aule di Camera e Senato quando la solerzia e la fantasia di un magistrato riescono così velocemente a sostituirsi al potere legislativo e pure alla Corte Costituzionale che, eventualmente, sarebbe stata l’unica legittimata a pronunciarsi.
La legge 40, che la sentenza di Salerno ha violato, non consente la scelta dell’embrione su base genetica, perché ogni selezione di questo tipo è eugenetica, indipendentemente dalle motivazioni che possono essere addotte. Una volta ammessa infatti la possibilità di produrre un certo numero di embrioni per selezionarne alcuni e scartarne altri, come avviene con la diagnosi preimpianto, chi decide quali sono le malattie gravissime che legittimerebbero la scelta e quelle che invece sono considerate accettabili? Fra le decine di embrioni che si dovranno generare per essere sicuri di ottenerne qualcuno sano non si cercheranno anche altre patologie, oltre a quelle mortali? In altre parole: chi cerca il figlio sano, e vuole escludere terribili malattie come l’atrofia muscolare o la fibrosi cistica, accetterà il rischio di avere embrioni affetti da sindrome di Down o con certi tipi di patologie cardiache, ad esempio, o vorrà invece cercare pure quelli per scartarli, visto che c’è la possibilità? Chi decide l’elenco delle malattie da individuare? Chi fisserà il limite? E di quale tipo sarà?
In Gran Bretagna alcune associazioni di persone affette da sordità hanno condotto una lunga battaglia per poter impiantare anche embrioni con lo stesso handicap: «Quali embrioni debbano essere scelti per l’impianto deve rimanere una decisione degli individui e dei loro medici» hanno rivendicato, ritenendo che la condizione di sordità (che conoscono bene per esperienza diretta) sia semplicemente quella di una minoranza che vive in modo diverso dagli altri, e che va dunque difesa dalle discriminazioni.
Quando il desiderio – legittimo e comprensibilissimo – di avere un figlio diventa un diritto esigibile l’inevitabile passo successivo è un ulteriore diritto: quello ad avere un figlio sano (o con caratteristiche precise) e quindi di poterselo scegliere, con criteri sempre più discrezionali. Un figlio subordinato a una selezione genetica, un figlio 'a condizione': una contraddizione in termini, che dovrebbe far ripensare al significato, alla responsabilità e al valore di mettere al mondo un bambino. Se possibile, non a ogni costo.
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(fonte: SamizdatOnline)
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